Il borgo è una frazione del comune di Ceraso da cui dista 3,5 Km, situato nel basso Cilento a 475 metri sul livello del mare. Pur essendo di piccole dimensioni è rinomato per i suoi percorsi naturalistici, resi suggestivi dalla presenza del vivaio forestale che si estende lungo il fiume Palistro dalla metà del primo ‘900.
Da ammirare sono anche l’antico mulino ad acqua il cui funzionamento è alimentato proprio dal fiume Palistro, la sorgente solfurea che si incontra percorrendo un sentiero di terra battuta e il Passo della Beta, vecchia mulattiera usata in passato da contadini e pastori. Meritevoli di attenzione sono anche gli affreschi della Chiesa Parrocchiale di San Biase, risalenti al XV secolo.
Ogni anno questa frazione ospita la “Festa del Pane”, in omaggio all'antico mulino che da sempre ha rappresentato una risorsa per tutta la comunità.
La prima notizia su San Biase risale ad un documento del 993, di cui l'Antonini riporta un brano che dice del fiume «qui bocatur Paliscus et descendit de S. Blasious quem ad pontem de Isca» in contrada «Stanfella» cioè nei pressi del punto in cui quel fiume è captato dall'Alento.
Il primo nucleo abitato si formò attorno alla chiesa dedicata a S. Biase dai monaci greci che da Velia, per la valle del Bruca,erano giunti colà dopo aver elevato la chiesa di S. Barbara. Ma, se non è facile stabilire quale comunità di monaci, tra quelli di S. Barbara e quelli di S. Maria di Pattano, si sia spinta fino a Vallo e tra Angellara e Moio per costruirvi, rispettivamente, le chiese di S. Pantaleone e di S. Venera, è più che probabile che furono proprio i monaci di S. Barbara a costruire la chiesa e il cenobio di S. Marina de lo Grasso. E non è da escludere che agli stessi monaci risalga l'antichissimo rito che si pratica nella chiesa di S. Biase nel giorno della sua festa: il sacerdote unge la gola dei fedeli con l'olio benedetto innanzi all'altare del santo.
Sempre l'Antonini ci informa che a S. Biase «eravi ancora uno spedale sito avanti la chiesa di S. Maria dei Martiri». Va subito chiarito che il termine ospedale non va identificato con il concetto di ospedale moderno. Infatti, un po’ ovunque, nei casali del territorio, si fa uso del termine “hospitale” per indicare una istituzione benefica limitata a uno o due terranei che servivano per accogliere i pellegrini o gli infermi più per solidarietà cristiana che per ragioni curative. Sembra che nel corso dell'epidemia del ‘400 l'hospitale di S. Biase sia stato anche ingrandito utilizzando locali attigui. Se è vero che nel casale operarono anche i Benedettini, ciò poté avvenire solo dopo la scomparsa dei monaci italo-greci fondatori dell'abitato.
L'arrivo dei Benedettini nel casale potrebbe essere stato determinato dalla donazione che Nicola de Mannia, dopo la morte della moglie Alessandrina e con il consenso del figliuolo Guglielmo, al momento d'indossare a Cava l'abito monastico, fece alla Badia «infrascripta bona quondam casali Nove, quod dicitur Santus Blasius».
Nell'anzidetto documento, troviamo due notizie molto significative, l'una riferita all'abitato di S. Biase conl'espressione «quondam casali Nove», il che potrebbe far supporre che il villaggio abbia subito un distacco dallo stato di Novi per effetto di accordi con Tomasa de Mannia o per donazione del barone di Marzano, per cui si spiegherebbe anche la notizia contenuta nel Polittico di S. Barbara di un «baronis Santi Blasii». La seconda notizia rilevante riguarda il toponimo: «vinee que dicitur de Abbate». Questo porrebbe riferirsi all'esistenzadi un più antico cenobio italo-greco, sempre che il termine non si riferisca ad un titolo ecclesiastico del parroco del casale.
Nel 1463, re Ferrante donò S. Biase al genero Antonio Piccolomini di Aragona, duca di Amalfi. Ma nell'atto della donazione da costui fatta nel 1466 a Giovan Battista Saracino dei casali di Montano e Massicelle, non risulta il casale di S. Biase che il re aveva donato con gli altri due al genero. Nel 1508 Berlingieri Carrafa, subentrato ai Marzano nella baronia, concesse S. Biase a Matteo Pavone di Venosa.
Nel 1538 Ettore Pignatelli, conte di Borrello, alienò il casale con il titolo di barone, ma con il diritto di riscatto, a Vincenzo Pavone, marito di Lucrezia Loffredo di Cuccaro. Il 29 agosto 1543 Jonicello Pavone stipulò a Montano, alla presenza del notaio Lorenzo Pauceriis di Massicelle, un atto nel quale gli si attribuiva il titolo di barone di S. Biase. Nel 1578 era padrone del casale la figliuola Vittoria che aveva sposato Scipione Antonini di Cuccaro.
Risulta pure che verso la fine de ‘600 erano baroni di S. Biase i Di Stefano, baroni di Casalnuovo. D. Aniello aveva contratto un debito con D. Alfonso Antonini di 7838 ducati. Probabilmente il Di Stefano aveva dovuto cedere agli Antonini qualche diritto su S. Biase se Camilla Antonini, in occasione del suo matrimonio con Gerolamo Farao di Cannalonga, portava in dote anche diritti su S. Biase.
Il 1 marzo 1794 il barone G. Battista de Stefano vendette il suffeudo della terra di S. Biase al Dr. Celestino de Mattia e disse che tale feudo gli era pervenuto per cessione e rinunzia in beneficio di suo padre, barone D. Nicola, e di suo zio, barone D. Ermenegildo, fatta dagli illustri baroni Antonino di Cuccaro.
Negli Atti demaniali spesso è menzionato Tommaso Valiante come ex barone del luogo, per cui è da supporre che il grande censuista dei beni dell'abbazia di Pattano, ai primi dell'800, avesse acquistato dai de Mattia alcuni diritti sul casale, conservandoli poi fino all'abolizione della feudalità.
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